È di questi giorni la pubblicazione dei “Principles” di IFLA sul prestito digitale in biblioteca, sul modo cioè in cui le biblioteche possono, o meglio dovrebbero potere (dato che non si tratta di principî universalmente accolti da editori/distributori), acquistare ebook per immetterli nel circuito dell’uso pubblico in biblioteca. Qui il link al documento (che riproduco per comodità anche in basso, alla fine di questo post):
È un documento importante perché ci consente di riflettere sullo stato dell’arte della diffusione di ebook in biblioteca a partire da una realtà matura (ma nient’affatto “risolta”, anzi) come quella americana. Una realtà nella quale il 90% delle biblioteche pubbliche e il 100% delle biblioteche accademiche offrono servizi di prestito digitale. Una realtà nella quale discussioni generalissime (e francamente un po’ stucchevoli) come quelle innescate da Coffman di recente, sono sostanzialmente superate a favore di un lavoro pragmatico di progettazione e ricerca come quelli in atto nel progetto DPLA o in realtà come Open Library o Hathi Trust e tante altre ancora in gran parte assenti in Europa. Per non parlare del mercato, decisamente più avanti del nostro. A titolo di esempio, ecco un update di Sue Polanka sugli operatori USA del digital lending: http://www.libraries.wright.edu/noshelfrequired/2013/02/08/ebook-updates-and-must-reads-from-alamw-conference/.Da quando, con i miei colleghi della Horizons, abbiamo lanciato MLOL il nostro riferimento è stato costantemente la realtà USA. Non si tratta di una posizione “snobistica”. Si tratta della semplice presa d’atto che siamo in ritardo e che dobbiamo elaborare le nostre scelte studiando bene quello che altrove è stato realizzato. Questo lo spirito che muove i commenti seguenti ai “Principî” di IFLA. Dove siamo noi in Italia? E dove si colloca esattamente MLOL?
Partiamo dal punto 1 di IFLA. Le biblioteche devono avere la possibilità di acquistare ebook in una “varietà di termini e condizioni” che dipende dalla tipologia dei contenuti e dei diritti concessi alla biblioteca per accedervi. Questa varietà è oggi inevitabile ed è per questa ragione che ho spesso parlato di “politeismo” o “agnosticismo tecnologico” a proposito della posizione di MLOL. I “Principî” di IFLA nascono da un lavoro preparatorio complesso e da una ricognizione sistematica della realtà bibliotecaria e del mercato USA. Più di ogni altra cosa val la pena dare un’occhiata a questa matrice dei modelli di prestito digitale preparata da Civic Agenda per conto di IFLA: http://www.scribd.com/doc/122905318/Thinkpiece-on-Libraries-e-Lending-and-the-Future-of-Public-Access-to-Digital-Content-Matrix
È del tutto evidente – anche dopo una sola occhiata a questa matrice – che nel mondo reale (e non in qualche rispettabile tecno-utopia) costruire una collezione comprensiva di ebook significa cercare di gestire modelli diversi. Su MLOL ne ospitiamo diversi, alcuni li abbiamo letteralmente inventati noi qui in Italia, altri li abbiamo “corretti” potendo sfruttare il “vantaggio” (si fa per dire) del ritardo con il quale siamo partiti rispetto agli USA:
– il modello “one-copy-one-user” che abbiamo studiato nel 2010 assieme a Edigita (GEMS, Feltrinelli e RCS), ad esempio, prevede una distinzione concettuale tra copia d’archivio (licenziata per sempre) e lending. Prevede inoltre un’omogeneità ai prezzi di vendita al pubblico degli ebook rispetto ad alcuni modelli americani ricavati dal vecchio (ormai superato) mercato dei film a noleggio (la copia usata per il noleggio ha un costo molto più alto della copia sul mercato, anche 10 volte di più);
– sempre sul modello “one-copy-one-user” abbiamo introdotto la novità (unica nel panorama internazionale) del cosiddetto “watermark lending”: un prestito bibliotecario che non è più un prestito nel senso che l’utente scarica una copia senza limiti di tempo (cosa che su MLOL si fa anche per audiolibri, musica e altri media);
– un’altra caratteristica innovativa di MLOL è che – assieme ai due precedenti – vengono aggregati anche altri modelli sia dal punto di vista del delivery (streaming/download) sia dal punto di vista dei modelli di licenza (sottoscrizioni annuali/pay per view, quest’ultimo solo per l’integrazione Freading al momento ma in via di estensione anche a contenuti italiani).
Il punto 2 di IFLA apre un’area ancora inesplorata di problematiche per le bilblioteche e gli operatori di digital lending. Il tema del prestito interbibliotecario digitale, il tema dell’accessibilità per utenti disabili, ecc. sono temi cruciali. Su MLOL molte delle novità 2013 (in parte nel primo semestre, in parte nel secondo) vertono proprio su questi temi. Alcune le annunceremo già a Stelline il 14 marzo (programma a breve su questo blog).
Il punto 3 apre la questione del rapporto tra editori e Amazon sul prestito digitale in biblioteca. E’ chiaro infatti che è Amazon il target di questo punto, unica azienda (leader) nel settore della distribuzione degli ebook a non supportare il formato ePUB e il DRM Adobe (universalmente accettato, come standard de facto, per gestire il “prestito a tempo” in tutto il mondo, nel bene e nel male). E tuttavia l’accordo Overdrive-Amazon negli USA ha aperto un ciclo senza fine di discussioni tra editori e biblioteche, poiché è chiaro che per un operatore come Amazon agire (anche semplicemente come “partner” di Overdrive) nel prestito digitale bibliotecario significa proiettare questo servizio anche nel mercato “consumer”, faccenda che è molto più complesso gestire dal punto di vista degli editori.
Il punto 4 è importante ma va detto che esiste una regolazione precisa (almeno in Italia) per quanto concerne la privacy e il trattamento dei dati personali. Dunque un punto di principio importante ma nulla di nuovo sotto il sole.
Il punto 5 infine chiama in causa il tema della regolazione per legge del prestito digitale. Ed è sicuramente interessante, almeno in questa forma “dissuasiva” per così dire, che condivido. In pratica, la legge potrebbe imporre all’editore regole “ragionevoli” di digital lending nel caso in cui questi non abbia (di sua spontanea volontà) predisposto una licenza specifica per le biblioteche. Ti lasciamo libero di stabilire il come ma teniamo fermo il principio del se: gli ebook DEVONO andare nelle biblioteche pubbliche, stabilite voi come oppure lo Stato fissa una regola di default. Trovo particolarmente efficace questa prospettiva “dissuasiva” perché mettere mano a una legge generale che cristallizzi le regole del digital lending e cerchi di delimitare a priori come debba essere fatto “in tutti i casi e per tutti gli editori” sarebbe – al contrario – un errore madornale. Il digital lending è un servizio informatico erogato attraverso la rete, cioè un servizio che per la sua stessa natura sarà soggetto a una mutazione inevitabile, periodica e continua (come accade nel mondo di Internet in generale): mutamenti di licenza, di marketing, di tecnologia, ecc.
C’è un filone di commentatori che ritiene il passaggio al digitale un pericoloso passaggio verso un futuro nel quale si perderanno i diritti storicamente acquisiti dalle biblioteche nella gestione della carta stampata e dei media tradizionali. In particolare, il fatto che per gli ebook (e per i contenuti digitali in generale) non valga il principio del “first sale” (o principio di esaurimento, in italiano) è considerato il nocciolo di una seria deprivazione di diritti per la biblioteca. Al posto del “principio di esaurimento”, per i contenuti digitali vale una EULA (una licenza) cioè in definitiva la contrattazione tra editore e biblioteca. Si tratterebbe, secondo alcuni, del passaggio dal paradigma del “possesso” (da parte della biblioteca) a qualcosa di ancora indefinito e minaccioso.
La logica della licenza (al contrario del principio di esaurimento che è in genere accompagnato da un diritto di prestito garantito dalle eccezioni al diritto d’autore per le biblioteche nelle leggi internazionali sul copyright) è sicuramente una logica che contiene rischi per le biblioteche. Ma c’è anche il bicchiere mezzo pieno di questa visione un po’ drammatica: una licenza, proprio in virtù della sua “contrattabilità”, potrebbe giungere a risultati migliori nel digitale, di quanto la legge sul diritto d’autore e il principio di esaurimento abbiano garantito in passato alle biblioteche per i libri fisici. Il caso delle licenze Creative Commons – che hanno immesso grandi quantità di contenuti liberi in circolazione al di là delle normative sul copyright e sul pubblico dominio – ne è una dimostrazione evidente.
Immaginiamo il principio IFLA accompagnato da una legge sul deposito legale che garantisca l’accesso alle future generazioni dei contenuti digitali prodotti oggi. Accompagnato da licenze che garantiscano il possesso perenne (e autonomo) dei backfile da parte delle biblioteche. Accompagnato da licenze che garantiscano la portabilità dei titoli acquistati tra diversi operatori di digital lending in modo che le biblioteche non si ritrovino con nulla in mano nel passaggio da un operatore di digital lending all’altro. Accompagnato da una totale interoperabilità tra operatori di digital lending e software gestionali per le biblioteche. Accompagnato da licenze che garantiscano tecnologicamente e legalmente l’accesso per gli utenti disabili. Accompagnato da licenze che consentano il prestito inter-bibliotecario (regolato) di contenuti digitali tra biblioteche anche molto distanti geograficamente e perché no su base internazionale. Accompagnato da licenze estese per l’accesso a opere orfane/”out of print” digitalizzate, ecc. ecc.
Tutto questo delineerebbe – secondo me – uno scenario di servizio bibliotecario perfettamente equivalente ai diritti storicamente acquisiti dalla pubblica lettura e anzi “migliorato” dalle nuove opportunità offerte dal digitale (costo, velocità, diversità, scalabilità e molti altri ancora).
Ma tutto questo non c’è ancora, direte voi. Vero, non c’è ancora. Appunto. Va costruito. E’ esattamente questo il lavoro che a ciclo continuo facciamo su MLOL e che la prospettiva di IFLA invita a continuare (da tutti i punti di vista in gioco, ovviamente).
Per questo interventi à la Coffman non ci portano da nessuna parte. C’è un sacco di lavoro da fare, si discute di biblioteche digitali dai tempi di Licklider (1965!), oggi è venuto il momento di farle davvero. Oppure – molto semplicemente – le faranno altri. Come ho provato a spiegare a Librinnovando.
Il digital lending è infatti una modalità di accesso ai contenuti che non è necessariamente specifica delle (e riservata alle) biblioteche: Amazon, ebookfling, Skoobe, 24Symbols, Netflix, Spotify, ecc. sono solo alcuni esempi di aziende che, in ambiti diversi, offrono sottoscrizioni di accesso temporaneo ai contenuti digitali. Il modello della pubblica lettura, per la prima volta nella sua storia forse, si trova a “competere” con la sfera privata e commerciale.
Chi oggi si schiera contro il digital lending in biblioteca “a prescindere” sta sostanzialmente arrendendosi a un futuro di accesso ai contenuti digitali intermediati da soli operatori privati. Io – pur dal lato dell’impresa privata – sto con quelli che pensano che la transizione al digitale richieda al contrario un lento, creativo e continuo processo di “adattamento” del digitale al mondo delle biblioteche e viceversa.
La creazione di uno spazio bibliotecario pubblico e comune per l’accesso ai contenuti digitali non ci arriverà automaticamente e preconfezionato da qualche “mano invisibile”. Per questo non possiamo discutere del digital lending in biblioteca con lo sguardo dello scienziato che osservi un fenomeno naturale o limitarci a pure dissertazioni filosofiche sull’esistente. Il digital lending in biblioteca sarà come biblioteche, editori, distributori, ecc. decideranno di farlo evolvere, pragmaticamente, passo a passo. Abbiamo un compito performativo, non solo critico e descrittivo dell’esistente.
Sento molti parlare (spesso senza aver letto la fonte) di “beni comuni”. Elinor Ostrom ci ha insegnato che per evitare la cosiddetta “tragedia dei beni comuni” e il problema del “free riding”, è necessaria una regolazione virtuosa che generi vantaggi per tutti i soggetti in gioco (esattamente al contrario di quanto accade allo “stupido” nella teoria di Cipolla).
Per questo penso che sia saggio seguire l’esempio del percorso di IFLA. Questi “Principles” (assieme a tutto il resto del lavoro fatto e in corso) sono decisamente una buona base di partenza.
Giulio Blasi
(23.02.2013)
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Articolo ripreso da IFLA